Avete presente quella storia che “il gioco è una cosa seria”?
Ecco, anche giocare con le parole è una cosa seria.
Infatti, se abbiamo parole solo per ciò che conosciamo, pensiamo e possiamo immaginare, e se il modo in cui usiamo le parole è il modo in cui conosciamo, pensiamo e possiamo immaginare il mondo, allora invertirle, avvicinarle, aggiungere o sottrarre pezzi, trasformarle, collegarle, ci permette di giocare con quelle categorie e quegli schemi che ci fanno vedere la realtà sempre dalla stessa prospettiva, impedendoci di scorgere nuove possibilità, alternative e significati.
Un giocatore che sa seguire tracce di parole e aprire sentieri di senso, è un cercatore di nuove strade, che non si rassegna alla scelta obbligata ma ha fiducia nella polisemia della vita.
Prendiamo per esempio Partenza, una parola che usiamo e sentiamo spesso, densa di ideali, valori, obiettivi, sogni, emozioni, ricordi, segni, aspettative. Una parola che tiene insieme la pienezza di un percorso che ha portato consapevolezza, maturità, libertà e coraggio di scegliere, e le potenzialità di una strada tutta da scoprire, lasciando il segno del proprio passaggio attraverso azioni che siano sale, lievito e luce nel mondo e per gli altri.
Aggiungiamo ora una S e otteniamo Spartenza, una parola che, verosimilmente, quasi nessuno usa e in pochissimi hanno sentito. Probabilmente solo coloro che si sono imbattuti nel diario autobiografico di uno scrittore semianalfabeta originario di Bolognetta, noto per aver raccontato, in una lingua ibrida tra italiano, siciliano e angloamericano, la propria storia prima e dopo “La Spartenza” dalla Sicilia, alla volta degli Stati Uniti. Una sola lettera in più ci porta indietro di decenni, ad una Partenza diversa, sofferta, obbligata, al senso di sradicamento di un ragazzo costretto nel ‘47 a Separarsi (Spartirsi) dalla propria terra, dalla propria casa e dai propri affetti, per cercare un lavoro ed un futuro migliore.
Per Tommaso Bordonaro le parole sono state, ad un tempo, ostacolo e soluzione al desiderio di comunicare e raccontarsi. Con le lingue che nella sua esperienza si sono mescolate ha inventato un gioco tutto suo per mappare quella strada nuova e impervia che pure in molti, come lui, avevano e avrebbero battuto, realizzando un destino che in Sicilia è quasi imperativo: Cu nesci, arrinesci.
La bellezza, forse il fascino e la pregnanza dei proverbi stanno proprio in questa capacità di cogliere un tratto peculiare, una verità, ed eternizzarli (un po’ come i motti fanno con le intenzioni… Semel Scout Semper Scout). Una volta trovata la formula, poi, tutto sembra cospirare perché questa si inveri incessantemente, come se le parole (che dicono molto di come conosciamo, pensiamo e possiamo immaginare noi stessi e il mondo) disposte in un certo modo si saldassero, per scrivere una legge nella storia o tracciare un sentiero universale.
Così sembra che, almeno per noi siciliani (e più per noi che per gli altri perché, del resto, il proverbio è nel nostro dialetto!), da secoli e in ogni tempo, sia impossibile vivere senza l’ombra di questa legge, che ci aspetta sulla soglia dell’adolescenza, o uscire dal percorso battuto senza perdersi nell’immobilismo, nella rassegnazione e nell’accettazione passiva di un’assenza di alternative.
Cosa succede se proviamo a giocare ancora con le parole? Magari capovolgendone una…
Anche in questo caso, qualcuno ci ha preceduti. Qualche buon giocatore di parole, certamente, perché provando ad invertire la rotta da queste indicata e ad eternizzare una nuova verità, nella speranza di tracciare un nuovo sentiero verso un destino migliore PER e IN questa nostra terra, ha trovato il coraggio di dire: Si resti, arrinesci!
Sono solo parole, è vero, i fatti dicono ben altro.
I fatti spesso mettono spalle al muro, non offrono prospettive, soffocano i sogni, negano mezzi e opportunità, non premiano il merito e sono ingiusti, ci assillano con la paura di un’isola e di una comunità che non cambieranno mai, costringendoci, se siamo così pigri o incapaci o stupidi da decidere di restare, a rimanere sempre un passo indietro agli altri e ad accontentarci dei resti di un luogo che ormai è un non-luogo. E rischia di esistere solo nei ricordi di chi è partito e nelle utopie di pochi, poveri, illusi che ancora sperano nell’arrivo di un nuovo Colombo, pronto a scoprire le meraviglie di una terra inesplorata e a scuoterne le sorti dalla polvere.
Eppure, se siete troppo scettici per credere che basti giocare con le parole, scoprirne un nuovo senso e poi ripeterle tanto da convincersi e convincere che un’alternativa reale è possibile, fidatevi almeno di B.P. e, quando non c’è strada che possa condurvi alla vostra meta, prima di scappare altrove, provate ad inventarne una.
Non sarà semplice, dovrete essere disposti a leggere il mondo in altre direzioni e costruire nuovi significati, a cambiare qualcosa, dei luoghi che abitate e perfino di voi stessi, e siccome questo non sarà sufficiente, dovrete spendervi e mettere a frutto i vostri talenti perché anche quelli che vi circondano siano disposti a fare lo stesso. Faticherete, vi fermerete per provare a riorientarvi, avanzerete a tratti soli e contro vento, chiedendovi perché al doloroso ma vincente investimento sulla Spartenza avete preferito la rischiosa scommessa sulla Restanza. Sarete criticati da chi vi crede fermi, comodi o eccessivamente malinconici e per questo incapaci di staccarvi per puntare oltre la mediocrità e andare lontano. Vi perderete qualche volta ma, se credete davvero nella vostra impresa, riuscirete a trovare coraggio, forze e idee per Creare (neppure Cercare sarà più sufficiente!) occasioni, opportunità, risorse, punti di riferimento e prospettive.
Del resto… se nessuno si perde, chi troverà nuove strade?
Francesca Ricupati