cft-2019-racalmuto-03.jpeg
image-202
image-949
image-949

+39 095 41 65 61 | info@siciliascout.it

Il nuovo Sicilia Scout è uno “spazio” di lettura e analisi della scautismo siciliano e del ruolo che in essa deve avere l’AGESCI, quindi uno strumento di riflessione e di formazione. 

Il nuovo Sicilia Scout è uno “spazio” di lettura e analisi della scautismo siciliano e del ruolo che in essa deve avere l’AGESCI, quindi uno strumento di riflessione e di formazione. 

Segreteria regionale Agesci:
Telefono: 095.41 65 61 
segreteria@sicilia.agesci.it

 

Segreteria regionale Agesci:
Telefono: 095.41 65 61 
segreteria@sicilia.agesci.it

 

Le ultime News di Sicilia Scout

Vi lascio la pace, vi do la mia pace

18-04-2022 18:01

Redazione

In Evidenza, focus, 2022,

Vi lascio la pace, vi do la mia pace

Cristiani-Scout uomini in pace, di pace che non si danno pace!

Cristiani-Scout uomini in pace, di pace che non si danno pace!

di Don Pietro Piraino

 

  1.     Il Cristiano/Lo Scout è uomo in pace

Nell’approccio quotidiano con uno scout, la gente, in genere sorride. Riconosce in un giovane o in un adulto una certa “bontà”, talvolta resa troppo “al caramello” dai media, ma che esprime una caratteristica necessaria che è richiesta a chi aderisce ai valori dello scoutismo: essere capaci di trasmettere pace; una pace naturale, serena, cordiale; una pace che si manifesta all’esterno ma che è frutto di un profondo lavoro interiore.  Tale caratterista deve necessariamente essere la caratteristica di un vero cristiano che accoglie il Vangelo di Gesù Cristo.

 

Un educatore, un capo scout cristiano deve essere infatti un efficace tessitore di relazioni ed un valido promotore di unità, dentro e fuori la comunità ecclesiale, aperto al dialogo con gli altri uomini di buona volontà… immerso nel servizio per l’edificazione di una società che sia veramente casa di tutti. Al Capo scout, dunque, è chiesto di edificare e trasmettere pace perché, necessariamente, da Discepolo di Cristo, gli è chiesto di avere un animo profondamente pacificato: il Discepolo infatti, nel suo cammino con Cristo, impara, giorno per giorno a lasciarsi pacificare dallo Spirito Santo. E questo animo pacificato è frutto di un lungo e impegnativo lavoro su se stesso, di una cura che ha tutto il sapore della strada, con i suoi obiettivi, gli ostacoli da superare, la presa di coscienza e il superamento del proprio limite, la contemplazione del mondo da un punto di vista diverso, nuovo, purificato dall’aria fina della vetta, che in fondo è il punto di vista di Dio.

 

Il continuo lavoro su se stesso del Capo, alle prese con il cammino di progressiva purificazione del suo cuore, lo rende testimone credibile ed educatore autorevole. Non si può infatti condurre nessuno dove non si è mai stati.

 

Il percorso di pacificazione del cuore del Capo, del Discepolo, del Cristiano, lo spinge, giorno per giorno, a riconoscere e mortificare i desideri che provengono dal proprio egoismo, a riconoscere i bisogni degli altri, soprattutto di coloro che guardano alla sua testimonianza, a discernere le ispirazioni del Signore, lasciandosi guidare da saggi direttori spirituali e ispirare da veri maestri di spirito.

 

Come possiamo assistere veramente al prendere forma di un’anima, sotto l’azione dello Spirito Santo che opera nella Chiesa, nelle anime, se il Capo, l’Educatore, non si lascia pacificare il cuore grazie alla scelta di maestri veri?

 

Oggi più che mai, visto quanto vanno di moda i “testimoni a buon mercato”, è il tempo di imparare a scegliere i nostri modelli. E uno dei criteri che ci deve accompagnare è il rifiuto dei guerrafondai, dei rivoluzionari e sovversivi armati, di quelli che promettono di liberare gli oppressi dalla violenza operando con la medesima violenza.

 

Le buone predisposizioni, l’accoglienza del Vangelo, la scuola dei maestri di spirito, offrono al cristiano e al Capo che vuole essere integro nella sua adesione al messaggio di Cristo e al mandato verso i suoi ragazzi, la via per essere pacificato nell’anima.

 

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27).

 

La pace è il più grande dei doni del Cristo. Pace donataci mentre lui combatte la propria agonia.

 

La pace donataci dal Cristo è il dono che raccoglie e riassume in sé tutti i Suoi doni.

 

La Sua pace non è una tregua armata. Non è il “cessate il fuoco” tra due guerre, non è un armistizio. Non è neppure l’assenza di conflitti…

 

La pace di Cristo, e quindi la pace del cristiano, la pace dello scout, non è la sottomissione servile al più forte, né il dominio incontrastato sui più deboli; non è il quieto vivere, non è l’ignavia, non è neppure la paura degli imbelli, né l’indifferenza e la superiorità rispetto al male e alla sofferenza – non avremmo le forze per sentircene superiori! –. Non è nessuna di queste paci che il mondo conosce: pace dei vincitori o dei vinti, dei potenti o degli schiavi, dei superficiali o degli stoici, dei deboli o degli indifferenti.

 

La pace che Gesù Cristo ci lascia è di chi attraversa i conflitti e il male, la sofferenza e le ingiustizie non ignorandole né pretendendo di risolverle, non subendole né liquidandole, bensì prendendole su di sé e sopportandole, lavorando personalmente a un cambiamento. È la pace di chi, amato da Dio, ama ogni creatura e per questo sopporta i limiti altrui, e agisce, credendo e sperando che il bene prima o poi fiorirà in ognuno (1 Cor 13,7). È la pace di chi vince il male con il bene (Rm 12,21) e con la pazienza (Gc 1,2-4), perché ha vinto su sé stesso e ha scoperto che la vita è un dono ricevuto e da donare.

 

2.     Il Cristiano/lo Scout è un uomo di pace

Non è forse una contraddizione

            che dopo venti secoli di Vangelo gli anni di guerra siano più frequenti degli anni di pace?

            che sia tuttora valida la regola pagana: «si vis pacem, para bellum»?

            che l’omicida comune sia al bando come assassino, mentre chi, guerreggiando, stermina genti e città sia in onore come eroe?

            che nel figlio dell’uomo, riscattato a caro prezzo dal Figlio di Dio, si scorga unicamente e si colpisca senza pietà il concetto di nemico per motivi di nazione, di razza, di religione, di classe?

            che l’orrore cristiano del sangue fraterno si fermi davanti a una legittima dichiarazione di guerra da parte di una legittima autorità?

            che una guerra possa portare il nome di «giusta» o di «santa», e che tale nome convenga alla stessa guerra combattuta dall’un campo o dall’altro per opposte ragioni?

            che si invochi il nome di Dio per conseguire una vittoria pagata con la vita di milioni di figli di Dio?

            che venga bollato come disertore e punito come traditore chi, ripugnandogli in coscienza il mestiere delle armi, che è mestiere dell’uccidere, si rifiuta al «dovere»?

            che sia fatto tacere colui, che per sé soltanto, senza la pretesa di coniare una regola per gli altri, dichiara di sentire come peccato anche l’uccidere in guerra?

            che si dica di volere la pace, e poi non ci si accordi sul modo, appena sopraggiunge il dubbio che ne scapiti la potenza, l’orgoglio, l’onore, gli interessi della nazione?

che si predici di porre la vita eterna al disopra di ogni cosa, e poi ci si dimentichi che il cristiano è l’uomo che non ha bisogno di riuscire quaggiù?

Crediamo che questi pochi accenni bastino per dar rilievo alla nostra sostanziale contraddizione, per metterci in vergogna davanti a noi stessi, e per sentirci meno sicuri in un argomento ove la nostra troppa sicurezza potrebbe degenerare in temerarietà o in un delittuoso conformismo alle opinioni dominanti.

 

            Così scriveva nel 1955 don Primo Mazzolari tra le pagine del suo Tu non uccidere. E in un contesto come il nostro, in cui ancora una volta si vedono fratelli cristiani, battezzati, che si bombardano vicendevolmente per ragioni di potere, di prestigio internazionale, di confini, esse risuonano ancor di più come pugno allo stomaco del nostro appiattimento.

            Risulta pertanto necessario ricordare che è proprio dei Cristiani delle origini il dibattito sul rifiuto delle armi. Non mi dilungo, perché la bibliografia in questo senso è vastissima. Ricordo solo che i numerosi campioni della fede, i martiri soldati, sono quasi tutti espressione di quei convertiti a Cristo che ripudiano la violenza, quella violenza a cui sono stati educati per mestiere o per ragion di stato. “Arruolati nell’esercito del Principe della Pace” non possono usare la strategia e la violenza propri dei principi e dei potenti della terra, che accrescono la loro autorità in misura direttamente proporzionale alla carneficina e al sangue umano che hanno sparso.

 

     Facendo un salto di quasi due millenni, come non pensare al Magistero della Chiesa contro le guerre, a partire dal 1911 (anno dell’impresa italiana in Africa scaturita nella guerra italo-turca di Libia, presentata da alcuni strateghi con gli accenti della propaganda di cristianizzazione), e poi dal 1914 con la condanna della Grande Guerra come «Inutile strage»; come non pensare all’opera prestata durante gli anni dei totalitarismi e del Secondo Conflitto mondiale.

 

S. Giovanni XXIII in Pacem in terris del 1963 ricorda con forza a chi parla della guerra come strumento di giustizia o di liberazione che «ritenere la guerra adatta a sanare i diritti violati “alienum est ratione” (è fuori dalla ragione)».

 

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et spes, al n. 80, insegna: «Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato».

 

Come non ricordare poi l’intervento di S. Paolo VI alle Nazioni Unite: «voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l'equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace. Voi già lavorate in questo senso. Ma voi siete ancora in principio: arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa, che finora ha tessuto tanta parte della sua storia? È difficile prevedere; ma è facile affermare che alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono già segnate davanti a voi; e la prima è quella del disarmo. Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili. specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli. Finché l'uomo rimane l'essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quali siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è nobilissimo scopo, questo i Popoli attendono da voi, questo si deve ottenere! Cresca la fiducia unanime in questa Istituzione, cresca la sua autorità; e lo scopo, è sperabile, sarà raggiunto. Ve ne saranno riconoscenti le popolazioni, sollevate dalle pesanti spese degli armamenti, e liberate dall'incubo della guerra sempre imminente, il quale deforma la loro psicologia. Noi godiamo di sapere che molti di voi hanno considerato con favore il Nostro invito, lanciato a tutti gli Stati per la causa della pace, a Bombay, nello scorso dicembre, di devolvere a beneficio dei Paesi in via di sviluppo una parte almeno delle economie, che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti. Noi rinnoviamo qui tale invito, fidando nel vostro sentimento di umanità e di generosità. […] Jamais plus la guerre!».

 

         Insegnamento condiviso e proclamato con forza dai suoi successori S. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, il quale con forza e a chiare lettere continua a denunciare i vergognosi interessi dell’industria delle armi.

        Se cadiamo nella tentazione di sentire i temi legati alla guerra lontani da noi, perché nel nostro piccolo ci sentiamo erroneamente impotenti di fronte alle scelte dei capi delle Nazioni, è bene ricordarci della necessità di “disarmare” con la legge dell’Amore anche le nostre piccole e giuste battaglie.

        In tantissimi ci hanno lasciato insegnamenti forti, provocazioni vere ed essenziali: e penso di nuovo a don Primo Mazzolari, a Giorgio La Pira, ma anche ai grandi scout delle Aquile Randagie che hanno dimostrato la possibilità di servire l’uomo e il Paese secondo la genuina adesione al Vangelo, per cui hanno fatto la loro Resistenza con il rifiuto totale delle armi (e sarebbe bene qui riprendere, rileggere, riascoltare, le parole di Mons. Giovanni Barbareschi che ne descrive pienamente il senso e il valore).

      Come dimenticare l’insegnamento di don Lorenzo Milani sull’obiezione di coscienza, che lo condusse anche a essere processato. Obiezione di coscienza, quella vera, quella di coscienze educate a scegliere… non obiezioni di coscienze anestetizzate, che indossano la maschera della morale per accaparrarsi vacanze su piani lavorativi!!! (ma questo è un altro discorso!!!).

      Il rifiuto della violenza e delle armi deve manifestarsi nella lotta per la giustizia, per il rispetto dei diritti, per l’uguaglianza.

      Sì. Anche i popoli, le classi, i gruppi emarginati e privati dei diritti, che hanno il dovere di lottare, e di essere sostenuti nella lotta, per il rispetto e riconoscimento a loro dovuto, da cristiani, sono chiamati a rifiutare le armi.

      Scriveva circa un secolo fa un santo Vescovo, commentando l’ingresso di Gesù a Gerusalmme: «Trionfo sommamente gioioso e pacifico. Intorno al Trionfatore non si vedevano armi scintillanti, spade brandite, schiavi incatenati, popoli vinti e distrutti. Era un trionfo che non nasceva da guerre crudeli, né da vittorie sanguinose. La palma e l’olivo s’intrecciarono, per mostrare che la vittoria era pacifica con danno di nessuno, con vantaggio di tutti. Tale fu il trionfo di Cristo. Cristo passò trionfando e recando solo pace e benedizione. […] I fanciulli cioè le anime naturalmente pure e semplici, i popoli non prevenuti dal fanatismo, non aizzati dai mestatori applaudono e celebrano Cristo e la Chiesa. Ciò inasprisce e rende più feroci i grandi del mondo, i falsi politici che si vantano protettori e amici della plebe solo per dominarla più facilmente e tirarla a servire ai loro pravi disegni. È necessario che i popoli e le nazioni scuotano il giogo tirannico di coloro che vogliono strapparli a Cristo. È necessario che un’altra volta i popoli e le nazioni corrano dietro a Cristo, a Lui pienamente si sottomettano, da Lui si lascino cavalcare e guidare a salute, a Lui cantino Osanna e gridino: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nelle altezze. Oggi le plebi vogliono elevarsi a migliorar condizioni. Si elevino. Ma si ricordino, popolo e individui, grandi e piccoli che da Lui solo, grande di natura, umile di volontà, i grandi e i piccoli posso avere salvezza. […] E Cristo regnerà sempre Re mansueto e pieno di misericordia, dispensatore di ogni bene a chi lo ama e ubbidisce».

      Scriveva qualche anno fa Mons. Tommaso Valentinetti, Presidente di Pax Christi: «Alla guerra hanno dato aggettivi diversi, per renderla più accettabile: guerra giusta, guerra umanitaria, lotta al terrorismo, guerra preventiva. Ora siamo di fronte ad un'altra guerra.

Non possiamo farci chiudere la bocca da chi ha scelto e vuole convincerci che la guerra, anche se a malincuore, è necessaria e inevitabile. Il nostro riferimento, come ai cristiani, resta il Vangelo come Parola di vita e di pace, resta la persona di Gesù Cristo: uomo di verità, di giustizia, di libertà, di amore e di perdono. Gesù non ha mai usato la violenza neanche per legittima difesa».

      Urge dunque purificare i modelli che scegliamo e presentiamo ai nostri ragazzi.

Purificare, sì. Ma ciò è possibile solo se le nostre scelte di uomini ed educatori sono chiare, forti, solide…

      Il rischio, infatti, di un grande sincretismo di ideali (purtroppo anche religiosi) non solo è sempre in agguato, ma piuttosto sembra essere uno stile scelto in nome della commistione, della “contaminazione” spacciata per cultura accogliente.

      È necessaria una solidità di fede e di scelte per poter cogliere i frutti buoni da alberi che sono piantati in giardini non nostri, in giardini pericolosi. Proprio questa solidità è quella che permette di selezionare senza censurare.

      È tempo perciò di un lavoro serio su noi stessi.

      È tempo di dire basta alla moda dei rivoluzionari, del fricchettonismo (sic!), dell’alternativo a tutti i costi, che ci rende vittime di una adolescenza non di ritorno, ma di stile, che fa di noi degli immaturi, dei bamboccioni che vanno appresso alle bandiere di canovaccio di dantesca memoria, privi della consapevolezza della gravità del modello educativo sbagliato con cui ci presentiamo ai nostri ragazzi.

      È tempo anche di curare i nostri rapporti tra adulti nei diversi livelli associativi, con relazioni e rapporti che – pur nella dialettica di chi la pensa in maniera diversa – sono sempre a edificazione e mai a detrimento della vita comune.

      Da ciò deriva la “selezione” dei testimoni, dei modelli.

      Esempio… Non sceglierò mai come modello di impegno civile un rivoluzionario sanguinario e guerrafondaio, seppur animato dalla giusta lotta per le classi svantaggiate!

      Né mi produrrò in violenti e continui attacchi verbali, magari sull’onda dell’ultima fake news appresa sui social…

      Ma osservazione, giudizio, azione… mi condurranno a trovare il meglio da fare e da esprimere che non solo sia costruttivo ed educativo, ma sia veramente manifestazione della volontà di edificare qui e ora il Regno di Dio, che ho scelto come orizzonte di vita, di famiglia, di servizio…

      A Pietro, che nel momento dell’arresto nell’orto degli ulivi voleva difendere Gesù da quanti lo stavano arrestando attaccandoli con la spada, arrivando addirittura a tagliare un orecchio al servo del sommo sacerdote, Malco, Gesù urla: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada!» (cf Mt 26,52).

 

3.     Il Cristiano/Lo Scout non si dà pace!

      A noi, oggi, presenta la necessità profetica di presentarci disarmati.

      Unica nostra arma l’amore che perdona, e la Scrittura, parola viva che alimenta la nostra testimonianza.

      Per cui, come dice il profeta Isaia (62,1):

      Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace,

finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada.

 

      Non c’è pace per noi Cristiani, per noi educatori Scout… Dobbiamo vivere continuamente mossi dentro di noi da un desiderio di lotta al male, in noi stessi, che è lotta d’amore, per la giustizia, in un gareggiare nel servizio, nell’esempio, nel bene.

      E non potremo mai tacere finché qualcuno, nel nome di Dio, o nel nome della libertà, o della giustizia, ancora, oserà spargere il sangue, aizzare i deboli, vessare i piccoli.

      Che il Signore ci dia la forza di lottare con le armi dell’educazione, affinché tutti, uguali, amati, riconosciuti in dignità, gli uomini vivano come fratelli.

 

www.sicilia.agesci.it @ All Right Reserved 2021 - Sito web realizzato da Flazio Experience

www.sicilia.agesci.it @ All Right Reserved 2021 - Sito web realizzato da Flazio Experience


whatsapp