“La lotta alla mafia (primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. […] Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera […]”
Trent’anni dopo queste parole, pronunciate da Paolo Borsellino il 20 giugno 1992, l’AGESCI rinnova una promessa, la propria, e l’impegno preso di fronte al magistrato il cui monito suonava: “Noi arrestiamo i padri, voi educate i figli”. E lo fa non solo ricordando, ma costruendo e operando.
Il 18 luglio Palermo si è trasformata in un cantiere azzurro, accogliendo da tutta Italia gambe pronte a camminare in nome di quelle idee cui le stragi di Capaci e via D’Amelio hanno fatto da cassa di risonanza. Capi e ragazzi hanno spinto i propri passi su una strada che, anno dopo anno e grazie alle energie di alcuni sognatori, ha portato la memoria di un passato doloroso sul banco di prova del presente, per proiettarla verso un futuro degno dell’eredità di chi ha messo in gioco la propria vita. Ma perché questa strada ci chiama ancora una volta? Perché sentiamo la necessità di dire ancora “Eccomi”?
Sappiamo bene che esserci non basta, che una presenza inconsapevole non lascia il segno e gesti privi di intenzionalità restano vuota apparenza. Se non ci chiediamo neppure chi o cosa ci spinge ad andare, il rischio è quello di ridurre a mera ricorrenza un momento moralmente, culturalmente, socialmente denso che è diventato fondativo dell’identità e della lotta per il cambiamento di una comunità, di una città, di un Paese. Proprio dalle parole che trent’anni fa ci sono state consegnate dovremmo partire per recuperare il senso di questa sfida all’inseguimento della bellezza del fresco profumo di libertà: abbiamo un grande debito nei confronti di Giovanni, Paolo e molti altri, e dobbiamo pagarlo con gioia, testimoniando i valori su cui ogni giorno decidiamo di scommettere e loro stessi hanno scommesso. Come se questo non bastasse, ricordiamo che abbiamo promesso di fare del nostro meglio per compiere il nostro dovere verso il Paese, e quale modo migliore per farlo se non applicando quell’osservare-dedurre-agire, che ci contraddistingue, al nostro tessuto sociale e civile?
Costruire memoria non è riesumare rancori, errori, aneddoti, fine a se stessi, ma è aprire gli occhi su quanto è accaduto, quanto purtroppo è rimasto invariato e quanto, invece, è cambiato, per trarre nuovi impulsi e nuova linfa. Promuovere memoria operante è opporsi all’inerzia, all’indifferenza e all’abitudine a quell’inferno, più o meno vicino, che abitiamo tutti i giorni, costretti spesso ad anestetizzarci per andare avanti. E se “accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più” riesce facile a molti, chi vorrà lasciare il mondo un po’ migliore avrà bisogno di quegli impulsi e di quella linfa per un’impresa ben più ardua: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Perché possiamo continuare a progettare insieme un cambiamento concreto, graduale ma tangibile, è indispensabile tornare insieme su quel passato che ha ferito le nostre coscienze, la nostra terra, persino l’idea di umanità. Perché possiamo agire, e agire in nome della giustizia, della verità, del servizio al prossimo, è urgente una nuova presa di coscienza. Specialmente alla luce di ciò che negli ultimi anni ci ha permesso di rivalutare le nostre priorità, capire il peso e il valore della libertà, e constatare la criticità della nostra esistenza.
Oggi più che mai, guide e scout raggiungono la Sicilia perché sentono, come questa nostra terra, il bisogno di ripartire. Desiderano guardare più lontano per consegnare, sulle orme di Giovanni e Paolo, un’eredità e un Testimone. Credono nell’uomo e nella donna della partenza consapevoli, nell’incontro, nel confronto, nella condivisione di idee, che ci fanno associazione ma anche e soprattutto rete. Rete solidale e legale, pronta ad abbracciare l’altro e le responsabilità che scegliere il bene, denunciando il male, comporta.
C’è ancora una ragione che ci muove, e non solo in qualità di cittadini e di guide e scout ma di cristiani, per la quale vale la pena ridare voce a Paolo Borsellino. Perché questa ragione, che è anche il più grande dei comandamenti, ci lega alle nostre radici insieme al suo amico Giovanni:
“Perché non è fuggito; perché ha accettato questa tremenda situazione; perché non si è turbato; perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? PER AMORE! La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente, ha avuto ed ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene.”
Francesca Ricupati