di Giulio Campo - Responsaibile Regionale Agesci Sicilia
“Noi arrestiamo i padri, voi educate i figli”
Ricordo ancora queste parole, quasi sussurrate dal giudice Paolo Borsellino, la sera del 20 Giugno 1992. Avevamo da poco finito la nostra veglia per ricordare la strage di Capaci.
Nella chiesa di San Domenico, che aveva visto svolgersi tutti i funerali delle vittime di Mafia.
Quella sera, davanti a diecimila scout Agesci, abbiamo voluto proclamare, con forza, la nostra risposta alle tante vittime dello stragismo mafioso.
L'Agesci ha preso posizione mettendosi al centro di una riflessione culturale e politica, e quella frase di Borsellino ci riportava alla natura stessa della nostra azione cioè EDUCARE.
Quella frase, mentre il giudice, abbracciava, con tenerezza la vedova di Vito Schifani, ci indicava una strada a noi congeniale.
Siamo stati sempre un'associazione sensibile ai temi educativi e sociali. Già negli anni 70 e 80 avevamo preso posizioni chiare e definitive, in particolare sui temi dell'obiezione di coscienza. Poi con la strage di Capaci ci siamo, ancora una volta, resi conto che avremmo dovuto prendere una strada, originale, per prenderci la nostra parte di responsabilità.
Davanti a tutta l'assemblea abbiamo ribadito che la nostra azione educativa, silenziosa e costante, era ed è l'unica strada percorribile per dare il nostro contributo ad una società più giusta.
Niente antimafia, niente proclami. Noi non siamo e non potremmo mai fare antimafia, lasciamo alle istituzioni e alle forze dell'ordine questo importante compito e soprattutto niente protagonismi per intestarci lotte e battaglie che non ci appartengono. Noi facciamo educazione, interveniamo nella coscienza individuale, produciamo un cambiamento silenzioso che porterà nel tempo i suoi frutti. Cittadini capaci di intervenire criticamente e soprattutto di “sporcarsi le mani” in tutti gli ambienti dove i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di sperimentare, attraverso gli strumenti del metodo, una comunità dove vivere e sviluppare, non solo le proprie potenzialità, ma anche di percepire e vivere una comunità che sia di modello per una società dove siamo tutti chiamati a partecipare e dare un contributo. E tutto questo nella consapevolezza che ci sarà una possibilità di cambiamento che inizia dal proprio “cambiamento”. Siamo certi che questo avverrà e che i tempi lunghi dell'educazione sono gli unici mezzi che ci porteranno alla meta. Nel tempo i martiri Pino Puglisi e Beppe Diana hanno rinforzato questo cammino, perchè più di ogni altra cosa, la mafia, teme uomini e donne, forti e solidi che sanno scegliere e agire. Lo stesso Giudice Borsellino ci invitò, quella sera, a dare forza ai giovani e alle loro giuste richieste di essere al centro di questo movimento culturale, sociale, politico e perfino religioso. Ai giovani che sono gli unici a percepire il “Fresco profumo di libertà” che si oppone al “puzzo del compromesso”. Aria di libertà e di giustizia sociale che vedono impegnati, giorno dopo giorno, i nostri ragazzi e i nostri capi in un percorso generoso che ci porterà nel tempo a raggiungere il nostro obiettivo.
Dobbiamo ricordare che il nostro impegno è “memoria operante” come più volte ci ha ricordato Rita Borsellino, emerita dell'associazione. Il suo continuo e costante richiamo ci ha ricondotto alla nostra più forte aspirazione e cioè : rendere la nostra vita una quotidiana presenza di impegno, portando nel nostro cuore, l'esempio e la vita stessa di tutte le vittime di mafia. Quindi ancora una volta niente proclami o manifesti ma semplicemente vivere ed esserci sempre nel quotidiano della nostra esistenza, Ricordo ancora a San Rossore centinaia di rover e scolte attenti alle parole di Rita che hanno sentito profondamente la sua volontà di essere presenti nel tempo e anche oltre. Di fronte alle promesse vacue di “altri” protagonisti , politici e non, a San Rossore, quelle di Rita sono le poche parole autentiche di impegno che sono poi riportate nella “carta del coraggio” così poco valorizzata dai quadri Agesci del tempo. Se vogliamo fare educazione seria dobbiamo rimettere al centro i ragazzi e le ragazze e riconoscere le loro richieste accompagnandone la realizzazione.
Da quella sera del 20 Giugno 1992 sono passati trent'anni, ma sono ancora vive quelle parole e, oggi più che mai, devono risuonare nelle nostre coscienze. Parole che, oggi lo sappiamo per certo, Paolo dichiarò nella consapevolezza che in poco tempo sarebbe andato incontro alla morte.
Oggi in via d'Amelio l'albero della pace ci chiama a non mollare a non lasciarci andare al semplice ricordo. Quell'albero, che viene da Betlemme, venne piantato nel luglio del 1993 da un lupetto, una guida e un capo, insieme al giudice Caponnetto. Per volere della mamma di Paolo e di Rita noi siamo stati chiamati a celebrare e a rinnovare il nostro impegno. Da allora ogni 18 Luglio ci siamo stati. In quella via distrutta dal dolore: Paolo, Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo e Walter, ci ricordano cosa dobbiamo fare e dove dobbiamo procedere per ridarci dignità e giustizia. Non dimentichiamo mai, noi ci siamo e ci saremo!!