Viviamo in un periodo storico caratterizzato da cambiamenti epocali che si accompagnano alla coniatura di numerosi cosiddetti neologismi. In particolare, uno tra i più significativi fenomeni che portano cambiamento, i flussi migratori, ci ha regalato il concetto di “Restanza”.
L’enciclopedia Treccani la definisce come: “la posizione di chi decide di restare, rinunciando a recidere il legame con la propria terra e comunità d’origine non per rassegnazione, ma con un atteggiamento propositivo, con particolare riferimento alla condizione problematica del Sud d’Italia”, ovvero la capacità di “reggere all’urto del cambiamento”.
In altre parole si tratta di quel fenomeno che, ad esempio, impedirebbe la chiusura, oggi ahinoi assai frequente, di molti gruppi scout rimasti a corto di Capi.
Ma, al di là della definizione enciclopedica, che forma esattamente ha questa restanza? Con che aspetto si manifesta nella nostra vita quotidiana? In quali esperienze, strumenti e opportunità si traduce?
Il modo più efficace per rispondere a queste domande probabilmente è quello di raccontare storie concrete, esperienze ed esempi che varrebbe la pena di conoscere.
Ho vissuto personalmente l’esperienza del restare e negli ultimi anni ho scoperto che tanti altri come me sono riusciti a immaginare e iniziare a costruire il proprio futuro qui, senza andare via, anche se molto spesso si tratta di vicende poco conosciute, ma che vale la pena divulgare e far conoscere soprattutto ai nostri ragazzi, sempre più spesso in preda all’incertezza sul futuro, all’instabilità della propria condizione ed alla disillusione.
La mia storia di restanza non comincia con l’aver trovato un’opportunità per restare, un ambiente in cui trovare certezze, un percorso in cui immaginare il proprio futuro. Inizia, piuttosto, con l’averli, insieme ad altri, creati da zero. “Quando la strada non c’è, inventala!” diceva qualcuno che conosciamo bene, ed è così che è iniziata. E questo vale per quasi tutte le esperienze simili.
In questo sono stati decisivi i miei studi universitari e, neanche a dirlo, lo scautismo, perché hanno permesso di incrociare la mia strada con quelle di altri volontari, associazioni, ricercatori e docenti universitari che qualche anno fa ragionavano su come trasformare un fenomeno di mobilitazione sociale e cittadinanza attiva in un processo strutturato di sviluppo territoriale.
È la storia che si sta scrivendo in questi anni nella Valle del Simeto, la storia del Patto di Fiume Simeto e del Presidio Partecipativo (associazione di cui sono cofondatore, socio e, al momento, vicepresidente). È una storia fatta di sogni ma anche di tanta concretezza, sforzi collettivi e percorsi e progetti condivisi tra cittadini, ricercatori e docenti universitari e amministratori locali. Un esperimento per tentare un modo diverso di immaginare e costruire lo sviluppo di un territori in modo partecipato tra comunità e istituzioni. È una storia lunga che non posso raccontare in dettaglio qui ma che potrete scoprire, se vi va, su questo sito: www.presidiosimeto.it.
Ma soprattutto, è una storia che sta funzionando! Una storia che mi ha dato la motivazione per scegliere di restare, in un momento in cui avevo la valigia pronta per andare via, e che oggi mi permette di costruire, pezzo dopo pezzo, occasioni e opportunità per realizzarmi qui e non altrove.
In questa sede vale la pena piuttosto confidarvi che ho imparato che non c’è un modello standard o una ricetta preconfezionata di esperienza di restanza, quanto piuttosto esistono degli ingredienti o strumenti di base, quasi sempre necessari.
Formazione. Una volta finiti gli studi universitari ho iniziato a guardarmi attorno per scorgere quali opportunità si potessero cogliere per mettere a frutto le conoscenze acquisite, e la prima constatazione, quasi ovvia e banale potremmo dire, è stata quella che tali conoscenze non fossero sufficienti. Le ricerche legate alla mia tesi e gli studi postuniversitari mi hanno aiutato non solo ad approfondire determinati temi, ma anche a conoscere realtà associative, professionali e istituzionali, esperienze, persone che hanno ampliato parecchio i miei orizzonti.
Cooperazione. Questo genere di storie se non si fondano su una visione collettiva e su uno spirito di collaborazione non nascono nemmeno. Lo spirito cooperativo, purtroppo spesso assente nella nostra società, è un elemento imprescindibile per una comunità per raggiungere i propri obiettivi: cooperazione tra associazioni, università, istituzioni, imprese. Sembra utopia, ma è possibile! In questo senso il Terzo Settore è oggi sempre più uno strumento potenzialmente decisivo nel dare vita a processi di sviluppo solidale e di economia circolare (scopriamolo sempre di più!)
Innovazione. Inventare una strada che non c’è significa immaginare nuovi modi per fare le cose, fare lo sforzo di cambiare prospettiva, cambiare il modo di pensare e di fare le cose comunemente diffusi, sperimentare percorsi nuovi per unire due punti, mettere in moto la creatività. Reinventarsi i paradigmi della nostra società.
Perseveranza. Non si riesce mai a praticare la restanza al primo tentativo. Un elemento imprescindibile è la pazienza, la forza di volontà, la capacità di resistere il più a lungo possibile. Arriveranno tante delusioni, si incontreranno tante resistenze ma alla fine, con i giusti sacrifici i risultati arrivano e si aprono sempre nuove piste da seguire.
Motivazione. Questa in realtà doveva essere messa peri prima, perché è un presupposto propedeutico agli altri ingredienti. Affinché si compia la scelta di restare bisogna avere un buon motivo. Il legame affettivo coi propri cari e la propria terra, certo. Ma anche un ambiente in cui poter sperimentare una buona qualità della vita. Spesso si pensa di riqualificare i nostri territori realizzando opere più o meno grandiose, rifacendo le strade, le facciate delle case, mega infrastrutture sportive o di altro genere. Ma la verità è che in un luogo ci si stabilisce se lì si pensa di poter avere delle relazioni di qualità, dei servizi soddisfacenti, di poter avere una vita di qualità, in cui essere persone significative e felici. Questa è la prima domanda che deve porsi chiunque voglia vivere un’esperienza di restanza: qual è il motivo per cui restare?
Noi scout siamo, ancora una volta avvantaggiati, perché questi concetti (formazione, creatività, collaborazione, perseveranza, motivazione) fanno parte della nostra identità valoriale e del nostro vissuto associativo.
Nel corso degli ultimi anni ho conosciuto tante altre esperienze di restanza che vale la pena scoprire coi nostri ragazzi nei territori di riferimento dei nostri gruppi, perché possono diventare per loro uno spunto importantissimo ed una preziosa risorsa per la nostra azione educativa. Farsi raccontare la strada percorsa, le difficoltà incontrate, gli strumenti e le opportunità finanziarie a disposizione.
Vi lascio alcuni siti che possono essere utili come punto di partenza per iniziare ad esplorare il mondo delle esperienze di restanza:
www.fqts.org
www.forumdisuguaglianzediversita.org
www.socialfare.org
www.fondazioneconilsud.it
www.forumterzosettore.it
Carmelo Caruso