Ascoltare il ragazzo è sì un mezzo utile per educarlo, ma non solo!“Ask the boy”. Questo è probabilmente il primo “comandamento” sul quale si fonda l’intuizione di BP che, intravedendo nell’educando il protagonista della sua crescita, ha fondato sull’auto-educazione il metodo scout. Possiamo forse dire che l’educazione scout passa soprattutto dalla capacità che ha il ragazzo di ascoltarsi, di capirsi, di tracciare percorsi personali di crescita.
“Chiedere al ragazzo”, ascoltare i suoi desideri, far fruttare i suoi talenti, creare spazi in cui esprimere creatività, fragilità, verità. Se ci pensiamo è una strada davvero innovativa, anche se tracciata quasi centoventi anni fa e che, ancora oggi, necessita di un compimento chiaro e definito nella nostra società.
Lo abbiamo osservato anche in questi due anni di pandemia durante i quali bambini e ragazzi sono stati spesso tenuti ai margini dei processi decisionali e di contribuzione del pensiero.
Soprattutto bambini e adolescenti hanno subito il peso delle chiusure e della didattica a distanza e, di contro, non hanno vissuto spazi idonei dove poter esprimere le loro idee e le loro frustrazioni; molte volte non sono stati coinvolti inoltre in quei luoghi di impegno dove avrebbero potuto dare un contributo fattivo nel campo del volontariato e del servizio.
In molti casi lo scautismo è stata una chiave preziosa di partecipazione. Sono stati numerosi infatti i clan/fuoco e le comunità capi che si sono adoperati a collaborare in rete con associazioni del terzo settore nel dare una mano a opere di sostegno e di accompagnamento dei più fragili. Non dimentichiamo inoltre il ruolo dei capi scout che si sono sforzati a trovare soluzioni creative per mantenere viva la relazione educativa con bambini e ragazzi, attraverso attività interattive anche fatte da casa; attività che hanno stimolato il confronto e la condivisione dei sentimenti e di quelle consapevolezze maturati durante il lockdown, in un continuo ascolto reciproco che ha creato pensiero e cammino comune.
Questo dimostra quanto lo scautismo possa essere, nella sua essenza, una esperienza di forte valenza relazionale e di crescita e di quanto i capi educatori abbiano chiara la propria missione, che è anche quella di creare “spazi di ascolto” e di condivisione in cui i ragazzi possano sentirsi (e siano davvero) partecipi.
Questo percorso però è ancora in divenire: manca un piccolo passo in avanti per completare l’opera. Serve forse un approccio diverso in questo tipo di relazione. Ascoltare il ragazzo è sì un mezzo utile per educarlo, ma non solo!
L’Agesci, soprattutto dopo l’esperienza del “festival del bambino” (2016) ha aperto un sentiero non battuto che affianca alla già sperimentata autoeducazione (=ragazzo protagonista della propria educazione), un approccio in cui il giovane è chiamato a partecipare attivamente anche alla costruzione del mondo e della società, con il suo contributo, il suo pensiero, le sue idee… ha quindi “diritto di avere voce in capitolo”.
Dobbiamo essere sempre più coscienti quindi che quello che ha da dire un bambino, un adolescente o un giovane è ricchezza per noi e per la società, abbandonando la visione paternalista dell’adulto che sa sempre cosa sia giusto per loro. Abbiamo appreso, anche attraverso le esperienze di rappresentanza e partecipazione, che i ragazzi, quando interpellati, sanno davvero contribuire e generare processi innovativi… nel presente
E’ questa l’esperienza preziosa delle “Agorà degli R/S siciliani”, appuntamento di partecipazione ormai abituale per la nostra regione che ha tracciato una strada nuova che si perfeziona di anno in anno e che permette ai ragazzi di dire la loro e di contribuire con il loro pensiero. Ma non basta. Nell’epoca in cui i giovani iniziano a rivendicare soluzioni che tengano conto dei loro diritti, della cura del pianeta, della scuola e del lavoro, la nostra associazione dovrebbe aprire molto di più gli spazi di partecipazione, anche in rete con altre realtà giovanili che perseguono i nostri stessi obiettivi. In questo percorso l’esperienza nazionale “benépossibile” sarà decisiva per cambiare approccio in tutto il territorio nazionale.
A noi capi spetta il fondamentale compito di metterci accanto ai nostri ragazzi senza sostituirci ad essi, di ascoltarli davvero. Affinché tutte le esperienze che mettiamo in campo non diventino inconcludenti. Pensiamo alla carta del coraggio 2014 che si è scontrata con un’associazione non pronta ad accogliere e a includere le visioni e le richieste di quel documento. Oggi, nel 2022, possiamo affermare che quelle parole erano solo l’anticipazione di alcuni processi che poi sono avvenuti nella società e nella Chiesa e che non abbiamo avuto il coraggio di ascoltare e di accogliere prontamente.
Questo non ci scoraggi ma ci aiuti a credere maggiormente nel pensiero dei nostri ragazzi. Iniziamo a dargli molto più spazio dentro i nostri processi decisionali, dentro le nostre assemblee, dentro i nostri incontri tra capi, nel progetti di zona. Perché è molto bello far parlare i ragazzi, ma non ha senso né utilità se poi non c’è un’Associazione che li ascolti realmente. L’associazione ha messo in campo numerosi strumenti e buone prassi, bisogna soltanto farcene carico con responsabilità e coraggio.
Sergio Guttilla.
Incaricato regionale alla branca RS - Sicilia.
Per approfondire:
Atti del festival del Bambino
https://lc.agesci.it/2019/01/28/chi-sono-cosa-fanno-come-stanno-i-bambini/
Articoli 7 e 7bis – Percorsi di educazione alla cittadinanza, di partecipazione e di rappresentanza
https://rs.agesci.it/partecipazione-dei-rover-delle-scolte-alla-vita-dellassociazione/
Le Poche cose che contano - Documento finale Agorà2021
https://sicilia.agesci.it/brancars/agora2021-documento-finale-de-le-poche-cose-che-contano/