Dove sei, o mio Signore?
di Don Pietro Piraino
Quando il dolore, la paura, la sofferenza vengono a toccare con tutta la loro forza la nostra umanità, anche chi si ritiene più invincibile sperimenta la sua fragilità e inizia a vacillare. E se manca la terra sotto i piedi, anche il più sicuro di sé inizia a farsi domande.
Tra tutte, la domanda che emerge, anche in questo tempo di pandemia, sia per chi crede, sia per chi crede di non credere, è «Signore, dove sei?».
A fare la differenza per la vita è la risposta che si dona a questa domanda. Certamente, rispondere non è facile. Tutti all’impatto balbettiamo. Magari proviamo a far risuonare le parole del salmista che mutano la questione in un grido di aiuto: «Sorgi, Signore, salvaci!... vieni presto, non stare lontano!», ma la domanda resta aperta.
Talvolta ci si imbatte in chi prova a dare spiegazioni della presunta assenza di Dio, leggendo il male, le sofferenze, la pandemia come quasi un castigo per il nostro esserci allontanati da Lui. Ma ci accorgiamo immediatamente della incongruenza con il Volto vero del Padre presentatoci definitivamente da Gesù: un Dio vicino, padre, che ama e si spoglia della sua grandezza, dona tutto se stesso per stare con l’uomo.
In tutto il suo cammino terreno, fino alla pienezza di rivelazione nell’Ora della passione, della croce e della gloria, Gesù insegnò con le opere e con le parole il comandamento dell’Amore. E proprio educandoci all’amore che tutto condivide, financo la vita, ci ha svelato il volto di Dio, che è appunto Amore.
Non ci ha presentato un Dio potente che vince i virus, che rende immortali come Highlander i suoi discepoli. Piuttosto un Dio che cerca e attende, che lascia liberi e perdona, che non vuole nulla per sé e dona tutto se stesso; un Dio eterno che dialoga con noi che abitiamo il tempo; un Dio che è relazione, un Dio che è Amore. E l’amore è forte, più forte della morte.
Davanti alla concretezza del dolore, però, non possiamo metterci a teorizzare o a predicare. La pandemia, oggi, ci chiede ancora di ascoltare, di guardare all’uomo. Ed è proprio nell’uomo che soffre e muore che abbiamo l’opportunità di vedere Dio. Sì, in quest’ora, «Dio è nel dolore. È l’uomo dei dolori».
Siamo abituati a cercare prove della sua esistenza. Ci accorgiamo, invece, che è tempo di guardare all’uomo come «prova della Sua presenza». E ogni nostra parola ogni nostra azione si deve per un attimo fermare per ascoltare la parola di Dio per l’uomo, così da accorgerci che Egli, in Cristo, si è fatto per sempre vicino, è entrato nella nostra storia senza snaturarla, senza schiacciare il normale scorrere dei cicli vitali. E dunque è la nostra storia stessa testimone di un Dio che ha impastato le sue mani con la nostra carne, di un Dio «dalle mani bucate», che non spiega il senso del nostro dolore, ma che lo assume su di sé, «che si manifesta non tanto all’uomo quanto nell’uomo. Nell’uomo Cristo. E in ogni uomo che imita Cristo».
Dunque, chiediamoci: vedendo “crollare le nostre certezze”, abbiamo avuto il coraggio e la forza di cercare ciò che è incrollabile? L’abbiamo cercato? L’abbiamo invocato?
Sicuramente abbiamo messo in dubbio la sua onnipotenza. Ci siamo chiesti dove si era nascosto in questo momento di bisogno.
Se l’avessimo cercato, subito, avremmo fatto l’esperienza di Maria Maddalena all’alba della Pasqua: come lei, carichi del nostro dolore, della nostra sconfitta, con gli occhi pieni di morte, avremmo chiesto in giro, a chiunque «dove è stato rinchiuso il mio Maestro?». E magari a Lui stesso, che si accosta a noi, con gli occhi velati da ciò che non è essenziale, e quindi incapaci di riconoscerlo, avremmo chiesto informazioni.
Lui, il Cristo, Signore della vita, che non ama l’inganno, ci avrebbe subito risposto chiamandoci per nome.
E la sua voce, il suo amore, ci avrebbe subito investiti di quel calore che abbatte ogni corazza, ponendoci nella povertà, nell’essenzialità dei bambini appena nati, davanti al suo cuore aperto per accoglierci.
Non so se noi tutto questo l’abbiamo fatto.
Certamente siamo ancora in tempo. Perché fino a quanto Egli ci darà il sole che fa inseguire, uno dopo l’altro, i nostri giorni, noi avremo tempo per cercarlo. E, come dice S. Agostino, per continuare a cercarlo dopo averlo trovato.
A noi l’urgenza di battere questa strada, d’intraprendere il santo viaggio, la Santa ruote dell’incontro vero, essenziale, con Cristo, e con Lui, trovare il coraggio di vivere ogni tempo presente, segnato da gioia e prosperità, da oppressione o da malattia, da guerra o da pace, come testimoni del suo Amore.
E da testimoni, avviare un contagio nuovo, quello del Vangelo, che non uccide, ma dona la vita.
A noi cristiani, a noi scout, il tempo del dolore, del dubbio, delle lacrime, ci investe della missione di vivere la beatitudine: «beati coloro che sono nel pianto, perché saranno consolati», che è la fonte dell’articolo della legge che ci descrive come coloro che «sorridono e cantano anche nelle difficoltà».
Non si tratta di essere incoscientemente felici o addirittura sciocchi al punto di cantare e sorridere di fronte alla morte. Noi non siamo felici e cantiamo perché siamo nel pianto. Siamo chiamati ad essere nella gioia perché saremo consolati. E questa consolazione giungerà nel momento in cui saremo capaci di riconoscere nei nostri volti segnati dal dolore, dalla paura, dalla morte, il volto di Gesù di Nazareth, colui che ha pianto con la vedova di Nain che seppelliva il suo unico figlio; ha urlato e pianto per la morte dell’amico Lazzaro; ha sofferto la sua agonia «con forti grida e lacrime».
Piangendo con chi piange, Gesù ci ha mostrato che Dio è lì, sempre lì, nel risvolto meno visibile, nel nostro punto più fragile. È lì, faccia a faccia con la nostra sofferenza, che sceglie di prendere su di sé per trasfigurarla nella sua luce di risurrezione. E se lo sgomento del male ci opprime e ci fa vacillare, proviamo a metterci di fronte al Cristo crocifisso. Lì «nella pietà che non cede al rancore» abbiamo l’opportunità di trovare «l’Amore», perché la croce è la nostra barca in tempesta su cui Dio ha chiesto di salire, mentre noi lottiamo con il vento e con le onde che non sappiamo dominare. Su questa stessa barca, Lui soffre con noi, ma ci aiuta a orientare la vela e a non affondare.
E sulla sua rotta certamente faremo scalo nel porto della Vita, della Risurrezione, da sperimentare anche qui, mentre ci chiediamo: «Maestro, dove abiti?», «Dove sei, o mio Signore?».